#copyrunner Il Mostro
Il Mostro è una salita. Anzi, è la salita. Poco più di 400 metri a Torre Cambiaso sulle alture di Genova Pegli: dalla sbarra a dove comincia lo sterrato. Il fondo è in cemento. Va su dritta e ripida, con una continuità che non dà tregua. Tre semi curve, un angolo e un tornante. Se lo guardi in faccia, il Mostro ti mette paura. Specialmente quando alzi gli occhi dall’osteria per fotografare a colpo d’occhio la sottile linea grigia che scintilla come una spada pronta a tagliarti le gambe. Ma se non lo fissi, ti concentri sul tuo respiro e guardi in basso come un penitente, passo dopo passo il Mostro comincia ad addolcirsi, benché la pendenza non ceda di un millimetro. Quando, con un piccolo salto, superi la canaletta di scolo dell’acqua che segna il traguardo, al di là del tempo impiegato, il premio è che ne sai di più. Il Mostro insegna tane cose. La prima è che il motore è la mente. La seconda è che la mente può affrontare ogni tipo di mostro: una salita, la depressione, la precarietà del lavoro. La terza è che in meno di quattro minuti di ascesa la mente ha una capacità di elaborare una quantità di immagini e di pensieri che si manifestano e scivolano via veloci come il brecciolino sotto i piedi. Potessi raccoglierli tutti in fondo alla discesa al ritorno, avrei un archivio di ispirazioni più ricco di Pinterest. Ma il setaccio della mia mente ha maglie troppo grosse per conservare le parole figlie della fatica e della gioia di correre alle 7 prima di andare a lavorare, con il sole che mi scalda le mani e la tramontana che mi dà sollievo. L’aria sa di fave, di basilico, di fiori selvatici, di primavera. Trotto verso casa con un pensiero di gratitudine verso qualcosa più grande di me, ma che non so definire. Essere vivi è una gran cosa. Come diceva Mel Brooks, “Ci sono tante cose che non si possono fare da morti”.