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Il potere della mente

La mente è più forte del corpo. Se fosse solo una questione fisica, non riusciresti a preparare un’ultramaratona come la Pistoia-Abetone, 50 km con oltre la metà del percorso in salita, in 25 giorni.

È la testa che rende possibile concepire lo sforzo, accarezzare l’idea di compiere “l’impresa”, e affrontarla. È la testa che ti conforta dopo un allenamento disastroso con frasi del tipo “non è oggi che devi andare bene”, “non mollare”, “hai ancora un paio di domeniche per mettere chilometri nelle gambe”.

È sempre la testa che, durante la gara, si trasforma in un coach interiore che ti fa dosare lo sforzo, ti aiuta a segmentare il percorso in una serie di traguardi parziali. Che ti ricorda come un’agenda quando è il momento di alimentarti o di abbassare lo sguardo alla strada o di fare un piccolo fuori giri per raggiungere l’amico che ti ha staccato in discesa e affrontare insieme l’ultima parte della salita: la più lunga, la dura.

La mente ha un grande potere. Chi corre lo sa. Le gambe, il corpo, sono solo strumenti. La mente è un proiettore di luce che sonda l’ignoto delle sue stesse possibilità.

Quando Stefano Ameglio e io siamo passati al rilevamento dei 42,195 KM per me è stato come entrare in una terra incognita. Ogni passo era una domanda che le mie gambe ponevano al cervello: “E adesso?”. E la mente, saggiamente, non rispondeva, cercando la risposta un metro più avanti.E a ogni metro acquisiva l’esperienza di sensazioni mai provate prima, ma di cui conserverà per sempre la memoria.

Così, mentre gli occhi si riempivano del silenzio, della penombra, dei profumi di un bosco millenario, le piante dei piedi registravano conoscenze da trasmettere al cervello. Da tenere lì, buone per la prossima volta, proprio come si conservano i cibi rifugio in dispensa.

Conoscenze elementari, cioè di elementi primi, onesti, semplici. Da cui derivano parole misurate e gesti infantili.

Come riprendere a corricchiare dove la strada spiana. Come rispondere all’incoraggiamento di un corridore che scendeva con la medaglia e ci ha urlato “Bravi, dai che è finita!”.

Come tagliare il traguardo tenendosi reciprocamente il braccio alzato e abbracciarsi. Stefano era commosso e si vedeva. Anch’io, ma si vedeva meno.