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In principio era il serbo

Le parole sono lo strumento creativo per eccellenza. Dopo che qualcuno creò la luce e tutto il resto, fu un uomo a completare l’opera. Come? Dando un nome a ogni cosa tirata fuori da quella tenebra primordiale. Un’operazione di “naming” senza precedenti, destinata a fare storia.

Vitto, alloggio e divertimento erano gratis. Forse mancava un buon bar, ma quello era un vero paradiso, ordinato e pulito come un giardino inglese. In quell’Eden il primo uomo non aveva niente da fare, se non trovare un nome per ogni cosa gli passasse davanti agli occhi: piante, fiori, città… Proprio come quel gioco che si faceva a scuola.

Così chiamò “Mare”quella distesa salata in continuo movimento. “Montagne” quelle vette aguzze imbiancate di neve. “Sole” il disco giallo nel cielo e “Stelle” quei puntini che vi brillavano di notte. Un paziente gioco di parole da annual report.

Lui era minuzioso, una mente ordinata. La sua ragazza, invece, una fruttariana convinta, era una tipa trasgressiva. O così, almeno, voleva apparire. Le mostrarono un albero su cui c’era scritto ”proibito”. Lei, beh…si fece incantare da un serpente. Storia maledetta con una morale: la pubblicità non è mai ingannevole. Avrebbe dovuto saperlo che le primizie costano un’ira di Dio. Ma forse il cartello era scritto in serbo.